Title: Lucca, Archivio di Stato, Diplomatico, S. Ponziano, 1050
Document number: 2391
Author(s): Luca Angeli (file creation on 2022-05-09); Luca Angeli (last change on 2022-05-09)
Record source: Original document
Document type: Breve/memoratorium
Document tradition: Uncertain tradition
Fiscal property: Yes
Date: 1028 March 11 - 1040 March 11
Topical date: Montuolo (Lucca)
Date/period of redaction: XII
Keywords: abbots, advocatus of other public authorities, allocation to churches, boni viri/boni homines, fiscal property, fish, fisheries, gastaldus/vicegastaldus, inquisitio, judge, marquis/duke, monasteries, notary, object, other clerics, other minor officer, priests, redistributive, rights of use on woods/pastures/waters, rivers, villages/settlements, witness.
Editions and document summaries: Degli Azzi Vitelleschi, 1, n. 140, p. 100; Manaresi, III/2, n. 12, pp. 447-449.
Bibliography: Collavini-Tomei 2017.
Links: https://www.archiviodigitale.icar.beniculturali.it/it/185/ricerca/detail/552209
Commentary
Questo breve, steso l'11 marzo di un anno imprecisato nel secondo quarto dell'XI secolo, ci è giunto attraverso una copia fortemente rielaborata nel XII. La segnatura archivistica del documento nell'AS di Lucca colloca genericamente l'originale nell'anno 1050, basandosi sul Notulario monastico di S. Ponziano (realizzato nel XVIII secolo) e su una nota dorsale successiva alla copiatura. Come già segnalato da Degli Azzi Vitelleschi, l'indicazione non risulta però accettabile: nell'anno 1050 S. Ponziano era retta dall'abate Giuseppe, mentre il testo del breve ricorda Martino, non altrimenti conosciuto ma collocabile in una lacuna nella successione dei superiori ponzianesi compresa tra 1027 e 1040. Benché l'ultimo editore del documento, Manaresi, lo avesse ritenuto originale, gli interventi formali apportati durante la stesura della copia risultano pesanti e a tratti eccentrici, rivelandone l'interpolazione. Come osservato da Collavini e Tomei (2017), tanto la prima riga in capitale quanto gli abbellimenti cancellereschi risultano fortemente «irrituali» per la tipologia documentaria, mentre le sottoscrizioni pseudo-autografe e il monogramma contraffatto dell'abate Martino, pur tradendo un affascinante estro creativo, «già da soli denuncerebbero la falsità del pezzo». Tra le numerose inconsistenze formali, che si susseguono talvolta da una riga all'altra, risultano particolarmente evidenti il passaggio dalla prima alla terza persona singolare all'esaurirsi della scrittura distintiva, e ancora alla prima plurale nell'escatocollo, che tradiscono la stratificazione del documento. Queste osservazioni non compromettono necessariamente la validità del contenuto: il possesso di alcune pescaie sull'Auser da parte di S. Ponziano è attestato in una promissio dell'XI secolo coeva al breve (Lucca, Archivio di Stato, Diplomatico, S. Ponziano, 1025 settembre 26) e nuovamente in un giudizio emesso nel 1140 dai consoli cittadini, nel quale si ricorda una pescaia detenuta dal monastero “ex parte marchie” (Lucca, Archivio di Stato, Diplomatico, S. Ponziano, 1140 maggio 27) danneggiata dalle attività di un certo Marchesino detto “Scatitha”. Possiamo verosimilmente collocare in questo periodo l'interpolazione del breve originario, da individuare nella parte di testo in terza persona singolare, steso per conservare la memoria di un'inchiesta ordinata dal marchese Bonifacio di Canossa (1027-1052) e risoltasi positivamente per S. Ponziano. Nel corso del XII secolo la maggiore instabilità politica generò il desiderio di conferire peso e nuovo valore a quel documento, monumentalizzandolo attraverso una scrittura pseudo-cancelleresca e il ricorso a segni distintivi riadattati dai diplomi imperiali e marchionali. Il monogramma, in particolare, richiama quello originale del marchese Odalrico, precedente di un anno il giudizio consolare (Lucca, Archivio di Stato, Diplomatico, Miscellanee, 1139 luglio 25). Con tale documento venne assegnato ai consoli di Pisa, per la ripa della loro città, “totum ius quod de supradicta ripa pertinet ad marchiam”, alla quale sarebbe tornata, con clausola di miglioramento, dopo dieci anni. Dalla concessione erano però esclusi quei diritti “quod lucenses habent quod habuerunt antequam ego Marchio fuissem”: indicatore che, se rende imprudente pensare a questo documento come diretto modello per la rielaborazione ponzianese, ribadisce la vivacità e la persistenza degli interessi legati alle risorse fluviali dell'area. La modifica testuale più significativa riguarda i testimoni, ricavati dall'elenco degli intervenientes originali e alternati sistematicamente con due formule standard (ibi fui/interfui). A tradirlo (oltre alla riconoscibile unicità della mano che tracciò queste sottoscrizioni, spacciate per autografe in virtù dei signa distintivi) è l'impiego di soprannomi e locativi legati agli antroponimi, incoerente con l'uso lucchese del tempo nelle sottoscrizioni, ma accettabile invece per un elenco di presenti in un breve. Il resto del contenuto in terza persona singolare non presenta criticità rilevanti: quello a cui si assiste, dunque, è un intervento volto a modificarne gli aspetti formali, più che quelli contenutistici, dei quali si volle attuare una ricontestualizzazione giuridica. Per ottenerla, si attinse a piene mani dalla sfera del documento pubblico. Messe da parte le bizzarrie di forma, volte a conferire monumentalità e peso a un documento “leggero”, possiamo comunque ritenere fondata la memoria contenuta nel breve originale, che ci restituisce una testimonianza, affatto equivoca, di una divisione di beni pubblici tra potere marchionale e abbazia di S. Ponziano, il cui significato risulta ancor più pregnante alla luce delle altre pergamene citate.